Mario Cossali


UN TEATRO MAGICO RAPPRESENTA IL CUORE DEL MONDO

La pittura di Antonello Serra se la guardi superficialmente può sembrarti anche troppo facile, sai che ha fatto un lungo bagno nel mondo onirico surrealista e poi ha cominciato un amoroso viaggio nel bosco degli archetipi della sua Sardegna.
Scrigno prediletto di questi archetipi la cassapanca sarda, “cascia de su pane, de sa pannamenta, de su trigu, de su ‘inari”, cassapanca in legno di castagno, finemente intagliata. Da alcuni ritrovamenti archeologici si può dedurre che la cascia venga addirittura dall’età nuragica e questo giustifica filologicamente l’antichismo di certi rimandi segnici e figurali del nostro artista.
Ma tutto questo non basta, può valere come premessa, perché la pittura coltivata oggi da Antonello Serra non si esaurisce nella memoria, per quanto passionale, e non si adagia nostalgicamente sul tappeto arcaico della ricerca romantica delle proprie radici.
Infatti ci troviamo di fronte ad una pittura viva, vivace nel colore e nella narrazione, una pittura che è tutta impegnata a costruire una nuova storia, pur debitrice delle linfe di un lontano passato che nella terra di Sardegna ha impregnato di sé ogni passo della vita quotidiana.

Ma la pittura di Serra parla alla mente e agli occhi di oggi e ci conduce per mano in un lungo labirinto che trasforma le icone antiche in forme sciamaniche della speranza del nostro tempo. Paradossalmente l’indicazione per considerare il senso profondo di questa interpretazione ci viene da un sardo importante come Emilio Lussu: “Il popolo sardo, come i popoli venuti ultimi alla civiltà moderna e già fattisi primi, ha da rivelare qualcosa a se stesso e agli altri, di profondamente umano e nuovo.” Qualcosa di profondamente umano e nuovo è quello che incontro in questa pittura degli anni duemila, in un contesto sociale e linguistico ormai molto diverso da quello di Lussu, ma la cifra è questa: passione e rivelazione, passione e annuncio. La strumentazione rappresentativa è consapevole dell’attualità, nonostante voglia portare con sé  l’universo di un popolo antico.
Guardiamole bene le palombelle, i segni della vita e dell’operosità rurale, l’apparizione laterale della presenza umana, le figure si succedono in una sorta di magico teatro che non ci distoglie ma ci rimette nel  flusso più vitale. Hanno la loro funzione indispensabile i colori caldi e terragni come gli innesti di altri materiali sulla tela, sulla iuta o sulla tavola: ci conducono nel cuore del mondo.

 

Mario Cossali